Invisible target

Titolo originale: Nan er ben se
Regia: Benny Chan
Cast: Nicholas Tse, Shawn Yue, Jaycee Chan, Jacky Wu, Elanne Knowg, Ka Wah Lam, Sam Lee, Mark Cheng, Andy On, Suet Lam, Anson Leung, Ken Lo, Lisa Lu, Deep Ng, Philip Ng, Samuel Pang, Tak-bun Wong, Tommy Yuen
Anno: 2007
Produzione: Hong Kong
Durata: 129 minuti

TRAMA

Chan Chun è un poliziotto la cui fidanzata rimane uccisa incidentalmente durante un assalto ai danni di un furgone portavalori. Dopo sei mesi non solo non ha dimenticato ma insegue con tenacia la vendetta. I due colleghi a lui più vicini hanno parecchio da fare per tenerlo a freno tutte le volte che si trova davanti un criminale, il suo unico obiettivo è la vendetta, una sanguinosa ed eclatante azione che possa ai suoi occhi lavare il sangue della donna che stava per sposare. Intanto uno dei tre, Wai King-Ho brillante poliziotto sulle tracce del fratello, anch’egli nell’arma e sparito nel corso di un’operazione sotto copertura, si imbatte in Tien Yeng-Seng di cui sospetta il coinvolgimento in tutti e due gli eventi. Nel frattempo la banda che aveva messo a frutto il colpo al furgone ha qualche problema di coesione dal momento che gran parte dei contatti vengono dall’interno della centrale di polizia.

RECENSIONE

“Se un poliziotto uccide un uomo si può considerare omicidio?” Nonostante sia posto nel corso del film non troveremo la risposta a questo quesito, in realtà ciò che vedremo sarà una storia di poliziotti, qualcuno pulito, la maggior parte idealisti e alcuni davvero sporchi. Da "Infernal affairs" in poi non possiamo più guardare alla polizia di Hong Kong con gli stessi occhi, e anche se non all’altezza del modello, questo nuovo film di Benny Chan racconta molto bene l’ingarbugliata vita di poliziotti e malviventi in una simbiosi più evidente di quello che ci piacerebbe vedere.
Il plot appare semplice ma si complica a mano a mano che aggiungiamo tasselli alla storia, che ad una prima lettura parla di una vendetta, alla successiva già appare il fantasma di un tradimento ma sarà solo alla fine che vedremo l’entità di questo e le ramificazioni ultime della corruzione che lo ha generato. Il tutto viene svelato nel corso di inseguimenti e serratissime scene d’azione poichè sin dal primo fotogramma appare evidente che quello che stiamo per vedere è un action nella migliore tradizione di Hong Kong, pieno di corse in macchina, per la verità sulle macchine, sui tetti e voli attraverso l’aria in un tripudio di vetri infranti che neanche in tutta la carriera di Jackie Chan si sono mai visti. La faccenda dei vetri in realtà molto coreografica, dà l’idea di essere un pò il marchio di questo film, come le colombe per un altro famoso regista asiatico, il pluricopiato John Woo. Marchio che rende luccicante ogni frammento dello schermo ed epici gli arruffati poliziotti che corrono attraverso il vetro e l’aria come guerrieri volanti, senza ritocchi al computer ma col solo ausilio degli stuntmen e di una buona regia.
Il poliziotto Wai King-Ho uno dei pochi realmente senza macchia dell’intero plot, sembra uno spot per l’arruolamento in polizia ed è interpretato dal figlio del leggendario Jackie Chan, sulle orme paterne per quello che concerne voli e botte somministrati con grazia e più di un pizzico di ironia. I tre protagonisti rappresentano diverse possibilità di motivazione all’interno della carriera di un poliziotto e, se uno è spinto dalla vendetta, gli altri due o per idealismo, o per stanca accettazione del ruolo in seno ad una società che richiede paladini splendenti in immacolate armature, completano un quadro che da solo urla le intenzioni del regista in materia di moralità. Infatti la corruzione la incontreremo solo dopo, ai ranghi più alti di un meccanismo che dovrebbe funzionare da deterrente, ma che ospita dentro di sè il marciume che si prefigge di combattere.
A questo punto non ci sarebbe speranza, ma la visione che trapela dal racconto spinge in diversi casi ad una riflessione più profonda, se è vero che il corrotto sovrintendente è causa di un macello senza nessuna pietà di colleghi e malviventi, è anche profondamente toccante la parte in cui Wai King-Ho si trova di fronte il presunto assassino di suo fratello, toccante perchè carica di una morale e di un senso del dovere che non si sospettavano neanche all’inizio di questo viaggio.
In tutto questo non mancano certo i momenti divertenti, come lo scambio di massaggi con l’unguento che i tre protagonisti si scambiano dopo una rissa scatenata dal più idealista del gruppo, e a cui assiste l’attonita nonna di lui che sgrana gli occhi e provoca un imbarazzato rientro nei ranghi dei tre sorpresi in apparente intimità omo.
Tutto il cast risulta coeso e molto nella parte, mentre la fotografia rende incantevole il racconto e poetiche le giravolte che, complice un montaggio più che eccellente, sembrano quanto mai possibili. La regia è molto accurata e da sola sorregge il peso di una trama complessa e di folli inseguimenti che senza una buona capacità di rappresentazione apparirebbero caricaturali.
Consigliatissimo a chi ha amato "Infernal affairs" e gli action, sia pure derivativi che Hong Kong ci ha regalato negli ultimi anni.
Voto: 7,5
(Anna Maria Pelella)