Titolo originale: 46-okunen
no koi
Regia: Takashi Miike
Cast: Masanobu Ando, Kenichi Endo, Renji Ishibashi, Ryo Ishibashi, Jo
Kanamori, Shirô Kazuki, Shunsuke Kubozuka, Ryuhei Matsuda, Kiyohiko Shibukawa, Jai West
Sceneggiatura: Ikki Kajiwara, Hisao Maki, Masa Nakamura
Nazione: Giappone
Anno: 2006
Durata: 85 min
Due giovani giungono contemporaneamente in prigione, il più giovane Jun è barista in un bar gay, dove ha conosciuto luomo che ucciderà, mentre il secondo Shiro è un delinquente di vecchia data, che tra laltro ha stuprato la moglie del direttore del carcere la quale successivamente si era suicidata. Tra i due ragazzi nasce uno stranissimo rapporto di natura senzaltro affettiva, ma con connotazioni proiettive che porteranno a conseguenze disastrose.
In questo suo ultimo lavoro Miike decide per una rappresentazione circolare degli eventi,
scelta che gli vale una menzione a parte per loriginalità ed unaltra per la
maestria registica che questa richiede. I fatti narrati sono in realtà assai semplici ma
noi ce ne accorgeremo solo alla fine, quando i giochi saranno fatti, le proiezioni
ritirate e finalmente il non detto ci verrà mostrato. Shiro e Jun corrono in circolo in
un ambiente scenograficamente teatrale, dove un manipolo di giovanotti si azzuffa senza
tregua, viene da pensare che lo facciano per non accoppiarsi, dato il sottotesto assai
palese nel più puro stile Jean Genet. Si tratta di un carcere ma la scenografia richiama
Dogville, con una tale proiezione dei contenuti che anche le parole più semplici dovranno
essere ripetute per venire comprese. Lazione si svolge in pochissimo tempo, ma ci
viene mostrata ciclicamente da più angolazioni, col risultato di arricchire la nostra
percezione ad ogni istante. Il contenuto palese non è quello vero, lapparenza sarà
smentita e il non detto prenderà possesso con forza della nostra percezione
sovvertendola. Miike ci manda incontro al suo personale modello di scardinamento della
continuità con una tale leggerezza che pare di essere in un sogno, in verità è della
materia dei sogni che questo delirio visivo un po barocco sembra costituito, dal
momento che tutto quello che vediamo non è vero. La piramide e il razzo presenti
allesterno, o sarà linterno della mente dei protagonisti chissà, richiamano
alla mente le possibilità che restano a chi è rinchiuso, la prima una permanenza che
supera il tempo e diviene leggenda, Shiro, mentre il secondo il tentativo dello stesso
Shiro di trascendere il qui ed ora seguendo limpulso ad andare fuori dal tempo e
dallo spazio. Il direttore del carcere assume connotati più cinerei a mano a mano che
svela la sua storia e il suo presunto coinvolgimento nella morte di Shiro. Cè
persino un ammiccamento ai fantasmi modaioli dellultimo cinema nipponico, con la
moglie suicida del direttore che striscia al suo fianco e con la sua presenza smentisce le
parole di lui. I personaggi entrano lentamente a far parte del complesso puzzle che Miike
ha pensato per noi senza mai opporsi al loro destino, anzi abbracciandolo con foga come
fosse un salvagente nel mare in tempesta dellanimo umano. E mentre tutto questo
accade noi siamo straniti di fronte a tutto il non detto che sprizza da ogni dove e
smentisce con forza le poche cose dichiarate. Gli attori sono straordinari nel recitare il
loro dramma di un vissuto sospeso nel tempo e sicuramente spostato nello spazio. Le luci e
la fotografia, carica la seconda quanto tenui le prime, ci regalano un delirio visivo che
molto si presta alla scenografica rappresentazione proiettiva del sé dei protagonisti. La
regia è quanto di più misurato Miike abbia prodotto finora, con lievi tocchi di colore
per accentuare laspetto barocco del racconto.
In tutta lopera non si riesce a ravvisare un solo difetto, persino la durata è
misurata al centesimo sul ritmo delle possibilità che, non espresse dapprima, dovranno
lentamente compirsi poi. Direi che questopera rappresenta uno dei punti di
compromesso tra la capacità espressiva di Miike e la sua esigenza di trascendere i generi
per raccontare semplicemente il dramma dellanimo umano, così senza una cornice né
un motivo ulteriore, come ogni grande narratore dovrebbe esser libero di fare.
Voto: 10
(Anna Maria Pelella)