Titolo originale: Yokai
Hanta - Hiruko
Regia: Shinya Tsukamoto
Cast: Kenji Sewada, Masaki Kudo, Hideo Murata, Legumi Ueno, Naoto
Takenaka
Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto
Soggetto: Kojii Tsutsuni (dal fumetto Yokai Hunter, di Daijiro
Moroboshi)
Fotografia: Masahiro Kishimoto
Musica: Tatsushi Umegaki
Produzione: Shochiku - Fuji, Sedic
Nazionalità: Giappone
Anno: 1990
Durata: 89 minuti
Il professor Yabe è finalmente riuscito a scoprire la tomba del leggendario demone Hiruko. Ma lo spirito maligno, risvegliatosi, fugge dal sepolcro, uccide sia luomo che la giovane Tshukishima, impossessandosi del corpo di questultima. Inizia così una strenua lotta contro Hiruko da parte dellarcheologo Hieda Reijiro e di Masao, figlio di Yabe, sulla cui schiena, di volta in volta, tra terribili sofferenze, affiorano i volti scolpito delle vittime del demone.
Dici Tsukamoto e dici Tetsuo. Perché in fondo le gesta delliron man che
arriva dal Giappone con furore sono leggenda della celluloide che si rispetti, quella da
tenere sotto lucchetto, per preservarla come dono alle generazioni future. Tetsuo è malessere, disturbo, mutazione. Mutazione (tema comunque cardine della filmografia di
Tsukamoto, in un modo o nellaltro) che si trova anche nel qui presente Hiruko -
The goblin, unico elemento preservato delle visioni malefiche di quella pellicola
desordio. Perché Hiruko è un film commissionato, una semplice storia di
fantasmi, secondo gli ordini di mater Shochiku, potente major orientale. Tsukamoto però
elude vincoli e divieti, inserendo nel calderone una visione totalitaria del cinema,
pescando ora dallhorror giovanile, ora dalla storia damore, ora dalla
commedia.
Si può dire che Hiruko è un horror per ragazzi, sì, mascherato però da
qualsiasi altra cosa. Perché non cè limite alla sregolatezza con cui convivono
sequenze gore demenziali e piagnistei incessanti, substrato di terrore 100% made in Japan
e drammaticità opprimente, geyser di sangue e poetiche virate romantiche, fissità
registiche tipicamente orientali e movimenti impazziti di camera. Hiruko è
equamente distribuito, sempre in bilico tra questo e quello, ma mai incline ai
favoritismi.
E se lo script saltuariamente scivola nel kitsch - sfidandolo e ruggendo comunque a pieni
polmoni uninvidiabile originalità - a uscirne vincitore su tutti i fronti è Kenji
Sawada, screamer deccezione, carismatico quanto un Jackie Chan alle prese con gli
spettri, protagonista di una prova sopraffina, che sa far divertire senza mai ricadere
nella comicità gratuita. Applausi scroscianti anche per il restante comparto artistico,
con un bravo Masaki Kudo - abile giovane troppo innamorato di Thsukishima per sorridere,
ma troppo innamorato della vita per limitarsi piangere - e i contorni di Hideo Murata e
Naoto Takenaka.
Laria che si respira è opaca e cruda, con una forte radice carpentieriana (molto
sentita, anche nelle metamorfosi di Thsukishima), ricca di immagini scure, sudate,
vagamente disturbanti e pregne di incubi ragneschi che non si dimenticano.
Latmosfera però non è completamente concretizzata dal comparto musicale, troppo
legato allesposizione contaminatoria degli eighties, con note sinthetizzate che
escono da ogni centimetro di pellicola, a tratti fuorvianti e forse fuori luogo.
Uno sguardo al cinema orientale di genere, quello fatto di primigenie presenze
ectoplasmatiche e demoniache possessioni, prima che Sadako e i suoi capelli neri
invadessero i televisori di tutto il mondo.
Voto: 8
(Simone Corà)