Tutti i colori del buio

Regia: Sergio Martino
Cast: Edwige Fenech, George Hilton, Susan Scott, Ivan Rassimov, Marina Malfatti, Julián Ugarte, Georges Rigaud, Maria Cumani Quasimodo, Tom Felleghy
Soggetto: Santiago Moncada
Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi, Sauro Scavolini
Montaggio: Eugenio Alabiso
Fotografia: Giancarlo Ferrando
Produzione: Italia, Spagna
Anno: 1972
Durata: 91 minuti

TRAMA

Londra, 1972. Jane Harrison (Edwige Fenech) è continuamente tormentata da strani incubi che descrivono il suo tragico passato. Da bambina infatti ha visto uccidere la madre, mentre da poco tempo, causa un incidente d’auto con il fidanzato Richard, ha perso il bambino di cui era in attesa. Richard Steele (George Hilton), che vive in un appartamento insieme a Jane, è un rappresentante di medicinali ed ha avuto quel lavoro grazie alla coriacea Barbara, sorella maggiore di Jane. Per curare lo stato psiconevrotico di Jane, Barbara (Susan Scott) la affida alle cure del dottor Burton (Georges Rigaud), un noto psicanalista presso cui lavora, mentre Richard ha poca fiducia nell’efficacia di questa terapia. Frattanto Jane è costantemente seguita e tormentata da un misterioso individuo con gli occhi azzurri (Ivan Rassimov) del quale non conosce assolutamente l’identità. Una vicina di casa, Mary Weil (Marina Malfatti), entra in confidenza con Jane e, scoprendo i suoi disturbi psichici, decide di aiutarla; ma è una trappola per indurla a partecipare ad un Sabba in uno sperduto castello. Lo scopo è terribile: Jane avrebbe dovuto uccidere Mary per liberarla e prendere poi il suo posto nella setta satanica capeggiata da J.P. McBrian (Julián Ugarte). Proprio nella setta Jane ritroverà l’uomo dagli occhi azzurri, Mark Cogan...

RECENSIONE

Quarto thriller diretto da Sergio Martino, Tutti i colori del buio è senz’altro il più inquietante benché il meno thriller tra i film del regista romano. La storia è evidentemente ispirata al polanskiano Rosemary’s Baby: un intrigo familiare all’ombra di una setta satanica, una sorta di favola horror al ritmo del thriller. A differenza degli altri film però, in questo non c’è un vero e proprio assassino da scoprire, ma l’attenzione dello spettatore è concentrata sull’individuazione dei confini tra il reale e l’onirico, tra ciò che realmente succede e ciò che Jane sogna o immagina. La prima scena è già di per sé equivoca e disorienta lo spettatore che non sa ancora se si trova di fronte a un thriller o a un horror; e di fatto non è pienamente né l’uno né l’altro, ma trae spunto da entrambi. Per esempio non ci sono omicidi procurati da un uomo misterioso nerovestito e armato di rasoio, pugnale o falcetto, ma tutto avviene alla luce del sole, o meglio “sotto i colori del buio”. L’idea del sogno, della visione, al di là della presenza dell’elemento pseudo-soprannaturale, si lega al filone del giallo parapsicologico già visitato da altri registi come Lenzi e Fulci. Qui è particolarmente marcato perché la psicanalisi è apparentemente protagonista della storia; trattasi però di un pretesto narrativo così come la setta satanica. Scopo di Barbara è fondamentalmente quello di far uccidere la sorella e, in un certo senso, la setta alla quale lei per discendenza appartiene, è uno strumento per offuscare la mente di Jane e per ottenerne l’eliminazione fisica. In questo sta la natura del thriller, l’eredità da intascare, l’arricchimento come filo rosso che manovra le azioni dei personaggi, rendendoli cinici e spietati anche con i propri familiari. Se per la setta Jane deve espiare le colpe della madre che la rinnegò, Barbara è invece la fredda calcolatrice che agisce per interesse personale, tentando pure di uccidere Richard che stava scoprendo l’intrigo da lei ordito. Gli stessi dottor Burton e moglie cadono vittime della spietata trama di Barbara che, in un certo senso, fa eliminare tutti quelli che tentano di aiutare la sorella Jane. Così come ne Lo strano vizio della signora Wardh, la protagonista è un personaggio assolutamente tormentato e in completa balia degli eventi e, apparente vittima di un male sociale sovrastrutturale (là un serial killer, qui una setta satanica), è in realtà intrappolata nelle trame dei suoi stessi familiari (il marito, la sorella). Buona l’interpretazione degli attori, dalla coppia feticcio Fenech -Hilton alla gelida Scott e all’inquietante Rassimov. Per la colonna sonora, Martino chiama il maestro Bruno Nicolai, già autore dei suoi due precedenti thriller La coda dello scorpione e Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave. Nicolai compone un soundtrack memorabile, servendosi della collaborazione di Alessandro Alessandroni e dei suoi Cantori Moderni. In particolare, nel tema del Sabba, per descrivere meglio il contesto esoterico, Nicolai fa uso di un tipico strumento a corda indiano, il sitar, suonato dallo stesso Alessandroni. Nel tema denominato Magico incontro, inoltre, si può ascoltare l’eterea voce solista di Edda Dell’Orso, resa celebre nelle partiture morriconiane per i film C’era una volta il West e Giù la testa.
Voto: 7,5
(Andrea Natale)