Regia: Michele Placido
Cast: Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Anna
Mouglalis, Stefano Accorsi, Jasmine Trinca, Riccardo Scamarcio
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli
Soggetto: Giancarlo De Cataldo
Produzione: Italia
Anno: 2005
Durata: 152 minuti
La banda della Magliana, è capeggiata da il Libanese, il Freddo e il Dandi; insieme a loro un manipolo di malviventi semina terrore in tutto il paese per 25 anni, grazie anche alla protezione della mafia e di alcuni politici. Durante questo periodo che attraversa le recenti vicende storiche italiane, come il terrorismo degli anni di piombo e mani pulite, il commissario Scialoja cerca di contrastare il loro strapotere.
Cera una volta in Italia. Laffermazione non è casuale per due ragioni: vuoi
perché i fatti della banda della Magliana, sullo sfondo di una Roma plumbea e
claustrofobica - come probabilmente appariva qualsiasi città nostrana nei cosìddetti
anni di piombo - si intrecciano inesorabilmente con più di ventanni di storia
recente del nostro paese; vuoi perché il ritorno a un certo tipo di cinema di
genere - ad opera di un Michele Placido che i nostalgici associano ancora
allimmagine del compianto ispettore Cattani - pur con le dovute e rispettose
distanze, richiama in qualche modo le atmosfere leoniane di Cera una volta in
America. Non è troppo forzato il paragone tra il Max dellimmortale film di
Leone, interpretato da James Wood, che ama sedersi sul trono di un papa e il Libanese
(Pierfrancesco Favino) che vorrebbe vivere come un imperatore romano.
Vengono in mente altre illustri similitudini che, in qualche raro caso, sono state
strumentalizzate in senso negativo, ma il fatto che le vicissitudini di questi ragazzi
romani richiamino quelle dei Bravi ragazzi di Scorsese non può che essere
interpretato come elemento di pregio. Forse, il fatto di voler accostare Romanzo
Criminale a Goodfellas è una forzatura dettata dalla grande ammirazione
che certi critici (e anche da parte di chi scrive) nutrono per il buon vecchio zio
Martin e che, sulle ali dellentusiasmo, ha portato a gridare quasi al
miracolo.
A mente fredda però è chiaro che il film di Michele Placido vive di luce propria ed è
una diretta conseguenza della storia, della cultura e della politica tipicamente italiana
(e ancor più di quella romana). Piuttosto, se qualche esplicito riferimento cinefilo vi
si può riscontrare - su ammissione dello stesso Placido - è più facilmente
identificabile con il poliziesco allitaliana in voga negli anni 70.
Di certo cè che era da qualche anno che nel spesso asfittico panorama
cinematografico del nostro paese non si realizzavano pellicole di questo tipo, anche
perché girare un crime movie di serie A, in Italia, è senza dubbio più problematico che
negli USA. I motivi sono molteplici anche se è lo stesso De Cataldo (autore del libro
omonimo da cui il film è tratto) a fornire una condivisibile spiegazione: un crime
movie in qualsiasi altro paese del mondo sarebbe soltanto un crime movie; in Italia non ha
senso se non è anche un film in cui c'è il coinvolgimento della politica senza
contare poi il rischio di essere accusati di voler trasformare dei criminali in eroi.
Il coinvolgimento dei poteri forti non manca e, sia nel caso in cui vengano
esposti in modo più estemporaneo, oppure quando appaiano esplicitamente contestualizzati
(per esempio la strage della stazione di Bologna), risultano sempre funzionali a una trama
serrata e mai banale, dimostrando il coraggio di questo gruppo di autori (i già citati
Placido e De Cataldo, ma anche gli sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli), nel
riuscire a esplorare linguaggi e forme inusuali; nel voler mostrare aspetti piuttosto
scomodi e troppo facilmente accusabili di tendenziosità, elevandosi però dal ruolo di
semplice film di denuncia sociale e politica e conciliandosi con quello
dellintrattenimento. Binomio che, in Italia, conta davvero rarissimi esempi.
Le turbolenze politiche e civili che hanno coinvolto il nostro paese fanno da scenario
allascesa e alla caduta di questo manipolo di malviventi, in particolare dei tre
più rappresantitivi - il Libanese, il Freddo, il Dandi - vero e proprio motore
dellazione e termometro delle emozioni per il pubblico; capaci di affascinare in una
sequenza, tanto quanto disgustare in quella successiva. Per raccontare questo tipo di
storia sono state scelte inquadrature molto strette, quasi claustrofobiche, e primissimi
piani. Emergono così le psicologie dei personaggi, lemotività dei protagonisti e
la bravura degli attori (tutte facce conosciute, ma tutti romani doc), ma al contempo, si
è riprodotta con disarmante efficacia latmosfera cupa, paranoica, di piombo -
appunto - di quegli anni. Senza contare il fatto che questa soluzione ha agevolato
parecchio la scelta delle locations e ridotto le problematiche legate allarredo
urbano, alla cartellonistica stradale, alle insegne dei negozi, alle automobili, che nel
frattempo hanno cambiato la fisionomia della città.
Solo nellultima parte del film, quella alle soglie dello scorso decennio, le
inquadrature si allargano e mostrano qualche spicchio di Roma, preludio alla poetica
sequenza finale di Pasoliniana memoria che restituisce una sorta di liberazione anche se a
caro prezzo.
Michele Placido ha detto che una volta Francesco Rosi, in merito al film Un eroe
borghese gli confidò: Finalmente ci fanno fare di nuovo questo cinema.
Speriamo che Romanzo Criminale, non diventi un caso isolato, ma possa fare da
battistrada a tutte quelle storie che aspettano di essere raccontate.
Voto: 8,5
(Davide Battaglia)