Shining

Titolo originale: The Shining
Regia: Stanley Kubrick
Cast: Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers
Sceneggiatura: Diane Johnson, Stanley Kubrick dall’omonimo romanzo di Stephen King
Fotografia: John Alcott
Produzione: Gran Bretagna
Anno: 1980
Durata: 119 minuti (144 minuti, versione USA)

TRAMA

Jack Torrence (Jack Nicholson), un aspirante scrittore, insieme alla moglie (Shelley Duvall) e al figlioletto accetta l’incarico di custode invernale dell’Overlook Hotel, un immenso albergo tra le montagne. Il lungo isolamento e l’aura di negatività che circondano l’albergo mineranno l’equilibrio psichico di Jack, mentre il figlio Danny, dotato di poteri paranormali, scoprirà qualcosa di terribile, avvenuta in quel luogo molti anni prima...

RECENSIONE

Il cinema di Kubrick ha cavalcato ogni genere cinematografico, reinventandolo e impregnandolo di nuovi significati. Ancora oggi, a quasi quarant’anni di distanza, rimangono molti gli interrogativi sui diversi significati rappresentati da 2001, Odissea nello spazio, che ci è concesso immaginare o ipotizzare, ma sui quali graveranno eternamente i mezzi silenzi del regista. Già, perché Kubrick non amava disquisire in modo troppo esaustivo dei sui film, ritenendo (senza dubbio a ragione) che fosse più importante lasciar parlare le immagini. Si può affermare con certezza che 2001 spaccò la settima arte in due: tutto quello che venne fatto prima e quello che, in un modo o nell’altro, terrà conto della sua lezione. Kubrick ha esercitato sul cinema una sorta di sovranità totalitaria, in grado di condizionare l’immaginario collettivo, basti pensare alla capacità di materializzare nelle nostri menti, alle note del celebre walzer di Strauss, non l’immagine di cadetti e debuttanti impegnati nella danza, bensì vorticosi movimenti di astronavi sullo sfondo di cieli stellati.
Non è da meno Shining che, alla stregua di quanto 2001 non sia un film di fantascienza - o perlomeno non in modo esclusivo - si pose in una prospettiva di critica radicale verso il genere horror. Shining era l’antitesi dello splatter-gore e delle produzioni sanguinolente che imperversavano in quegli anni. Probabilmente Shining è il film più complesso di Kubrick, quello che si avvicina di più all’intricata sfera della psicoanalisi, rifiutando tutti i canoni della narrativa kinghiana (non è un mistero che Stephen King rimase insoddisfatto - sarebbe meglio dire irritato - dal risultato finale del film e decise in seguito di produrre un adattamento cinematografico più fedele al romanzo). Molti degli elementi freudiani sono racchiusi all’interno dell’Overlook Hotel dove una famiglia di tre persone esemplifica tre condizioni di squilibrio mentale: un uomo paranoico, una donna isterica, un bambino schizofrenico. Un film dove l’elemento soprannaturale ha una presenza decisamente evanescente e quasi metaforica, dove l’ambiguità di molte scene, farebbe pensare a semplici invenzioni dell’immaginazione di Jack Torrance sempre più soggiogato dalla permanenza in un luogo chiuso, ostile e isolato dal resto del mondo. La paura viene suscitata dall’evolversi di un dramma famigliare, dall’edipico odio di un padre verso il proprio figlio e dal terrore che genera nella madre, dall’impossibilità di un uomo a compiere il proprio lavoro che lo condurrà all’inevitabile perdizione. Ma anche dalla claustrofobica presenza di un labirinto (lo sono i corridoi all’interno dell'hotel tanto quanto le siepi all’esterno), atto di (ri)nascita e, al contempo, circuito di morte. Luogo in cui Jack insegue un figlicidio e subirà invece un parricidio. In questo senso lo Shining di Kubrick non è un film dell’orrore, ma una parabola triste e deprimente dell’esistenza umana.
La stessa co-sceneggiatrice Diane Johnson ammise che, se nell’opera kubrickiana si poteva riscontrare un’elevata valenza “orrorifica”, questa era molto più evidente in Full Metal Jacket piuttosto che in Shining.
All’epoca il film fu un relativo insuccesso commerciale dal momento che, nonostante gli fossero state riconosciute elevate qualità stilistiche (fra tutte un rivoluzionario utilizzo della steadicam), non venne compresa l’importante riflessione sul genere horror. Di questo, comunque, non v’è da meravigliarsi dal momento che quasi tutti i film di Kubrick sono stati aspramente criticati all’uscita nelle sale, salvo poi essere universalmente riconosciuti come capolavori dopo qualche anno. Basta citare l’esempio di Arancia Meccanica, frainteso nel 1971, come un gratuito inno alla violenza (in Italia fu inoltrata una denuncia per oscenità all’autorità giudiziaria che si concluse con una sentenza di assoluzione).
Un cinema senz’altro difficile e non immediato che va vissuto come un percorso logico dove ogni film è imprescindibile dagli altri, dove esistono elementi e tematiche ricorrenti e dove addirittura si ritrovano tracce di un film all’interno di un altro; un cinema enigmatico che gioca sadicamente con lo spettatore offrendogli spiegazioni solo parziali e confondendolo con giochi dissimulatori.
Un cinema che è uno dei più grandi patrimoni artistici del nostro tempo.
Voto: 10
(Davide Battaglia)