Dellamorte Dellamore

Regia: Michele Soavi
Cast: Rupert Everett (Francesco Dellamorte), Françoise Hadji Lazaro (Gna), Anna Falchi
Soggetto: il film è tratto dal libro “Dellamorte Dellamore” di Tiziano Sclavi
Sceneggiatura: Gianni Romoli
Effetti speciali: Sergio Stivaletti
Musiche: Manuel De Sica
Produttori: ItaliaHeinz Bibo, Tilde Corsi, Giovanni Romoli, Michele Soavi
Anno: 1994
Durata: 104 minuti

TRAMA

Francesco Dellamorte è un uomo schivo e disilluso, incapace di relazionarsi con gli altri e vittima dello scherno generale. Custode del cimitero di Buffalora, Francesco è circondato dai morti: quelli che non sanno di esserlo e trascinano la propria esistenza tra burocrazia e politica; e quelli che seppellisce ogni giorno nel suo cimitero, i quali, dopo qualche giorno, ritornano misteriosamente in vita, affamati di carne umana...

RECENSIONE

La confusione generata da una campagna pubblicitaria ambigua trasformò per lungo tempo “Dellamorte Dellamore” ne “il film su Dylan Dog”. L’equivoco, a dirla tutta, fu presto chiarito dagli addetti ai lavori, eppure la curiosità sorta intorno alla nuova creatura di Tiziano Sclavi ne fece una sorta di caso cinematografico, per il quale si versarono fiumi d’inchiostro...
Fu un’attenzione meritata? Il fatto che ormai di questo film si parli poco o punto, dimostra indubbiamente il contrario. La sensazione è quella di “un’occasione mancata”, causa le solite pecche del cosiddetto spaghetti horror tra cui gli effetti speciali ridotti all’osso, i trucchi da Fantaghirò e la recitazione degli attori nostrani purtroppo inadeguata; pensate che il ruolo di protagonista femminile fu assegnato ad Anna Falchi (attrice?) a volte doppiata e a volte no, alla quale, in verità, Michele Soavi dedica inquadrature generose, sfruttandone a pieno le uniche (due) doti!
Eppure, da Sclaviano d.o.c., non mi sento di esprimere un voto del tutto negativo nei confronti di un’opera coraggiosa.
Prima di tutto c’è da dire che “Dellamorte Dellamore” è un film decisamente sui generis, dalle atmosfere surreali e malinconiche. L’aspetto puramente horror, che assume il più delle volte toni ironici, fa soprattutto da contorno alla maturazione psicologica del protagonista e rappresenta il suo tentativo di sfuggire agli incubi della vita reale.
In effetti, Francesco Dellamorte è un personaggio tipicamente sclaviano: al di là delle somiglianze visive con Dylan Dog (l’aspetto, la macchina, la pistola...) egli vive, come l’Indagatore dell’Incubo, in un mondo nel quale proietta le sue inquietudini e le sue convinzioni (che poi sono quelle di Sclavi). Un mondo di stereotipi talvolta grotteschi, popolato da sindaci bigotti, politici viziosi e burocrati già seppelliti, come cadaveri viventi, fra le loro stesse carte.
In questo mondo di illusioni e fallimenti, dove anche l’amore idealizzato dal protagonista diventa una meta irraggiungibile a causa delle umane debolezze, Francesco finisce per perdere ogni stimolo e, di riflesso, la sua stessa identità. Indifferente nei confronti della vita e incapace di distinguere i vivi dai morti, il nostro decide di lasciarsi alle spalle Buffalora per ritrovare se stesso ma anche la fuga si rivela impossibile perché oltre l’autostrada che lo separa dai cancelli del suo cimitero maledetto non c’è niente: il “resto del mondo” al quale Francesco agogna non esiste, è un paesaggio di montagne innevate, deserto e irraggiungibile perché situato oltre un baratro e oltre l’oceano.
Con un finale surreale, la cui interpretazione più completa è rimessa alla sensibilità dello spettatore, Sclavi palesa quantomeno l’esigenza, per l’essere umano, di confrontarsi con la realtà che lo circonda e rassegnarsi ad essa nonostante gli innegabili difetti... elucubrazioni filosofiche, queste, alle quali il lettore dylandoghiano è avvezzo ma che probabilmente sono state alla base della fredda accoglienza riservata al film da quanti si aspettavano orge sanguinolente e cervelli sfracellati.
Comunque, a parere di chi scrive, il soggetto costituisce uno dei punti di forza dell’opera.
Degne di nota anche sceneggiatura e regia: la prima sollecita l’attenzione dello spettatore con ammiccamenti e citazioni in puro stile Sclavi (una scena ricorda “Gli Amanti” di Magritte; in un’altra appare addirittura l’”Isola dei Morti” di Bocklin in versione mignon...); Michele Soavi, invece, dimostra talento e maturità artistica regalandoci scene di grande tensione drammatica, sottolineate dalle musiche incalzanti e cupe di Manuel De Sica.
Applausi anche per Françoise Hadji Lazaro impegnato nella difficile caratterizzazione dell’assistente menomato di Francesco Dellamorte e per il tenebroso Rupert Everett, al quale uno sconosciuto Dylan McDermott, sembra aver soffiato il ruolo dell’Indagatore dell’Incubo nella prossima pellicola di produzione Miramax dedicata a Dylan Dog (ma questa, come si suol dire, è un’altra storia...).
Voto: 6
(Stefano Palumbo)