La casa dei 1000 corpi

Titolo originale: House of 1000 corpses
Regia: Rob Zombie
Cast: Sid Haig, Bill Moseley, Shery Moon, Karen Black
Sceneggiatura: Rob Zombie
Musica: Rob Zombie e Scott Humprhey
Direttore della fotografia: Tom Richmond e Alex Poppas
Produttori Esecutivi: Andrew D. Given e Guy Oseary
Produttore: Andy Gould
Produzione: U.S.A.
Anno: 2003
Durata: 85 minuti

TRAMA

Un gruppo di ragazzi, alla ricerca di leggende metropolitane, storie bizzarre, miti locali e chissà cos’altro, s’imbattono quasi per caso nello stravagante negozio di Captain Spaulding, un eccentrico quanto pazzo uomo vestito da clown, che ha immortalato la propria vita alla causa dell’horror e affini. Questo suo piccolo regno, oltre a essere una poco raccomandabile stazione di benzina e - ovviamente - un bazar dov’è possibile trovare souvenirs macabri e grotteschi di tutti i tipi e di tutti i generi, ospita anche un inquietante tour di cui egli stesso è l’irriverente e cinica guida. Davanti all’entusiasmo dei ragazzi (e un po’ meno di quello delle ragazze), il folle Spaulding mostra con entusiasmo vita, morte e miracoli di alcuni dei più terrificanti serial killer apparsi in quelle zone. E’ proprio dalla sempre sorridente bocca del clown dalle guance rosse che i ragazzi si incuriosiscono sulla figura del misterioso Dottor Satana: un eccentrico “chirurgo” ossessionato dall’esplorazione del corpo umano, se così si può dire. Talmente tanto da meritare la forca, guarda caso proprio in un luogo lì vicino. Il bello è che non si sa dov’è finito. Se le autorità lo hanno impiccato, perché il suo corpo è scomparso? E’ veramente morto? O è successo qualcos’altro dopo?
Salutato il simpatico gestore del “freak-show”, i ragazzi, manco a dirlo, si dirigono verso il luogo in cui il Dottor Satana era stato giustiziato, per trovare - prede di insana curiosità quali sono - una risposta a tutte quelle domande. Ma lungo il tragitto, un’avvenente e discinta fanciulla chiede loro un passaggio. E come si fa a dire di no a due gambe belle come quelle? Senza contare il resto, naturalmente. Ed ecco che inizia il bello... Proprio in vicinanza della casa della ragazza, i poveri avventurosi forano una gomma - accidenti, che sfiga! - e, per ingannare l’attesa dell’arrivo del carro attrezzi, la misteriosa fanciulla li invita a casa sua, per far loro conoscere la sua bizzarra e particolare famigliola.

RECENSIONE

Devo ammettere che non mi aspettavo molto da questo film, ad essere sincero. Sapevo dell’amore incondizionato di Rob Zombie per gli horror movies degli anni ’70, quelli violenti, dai colori scuri e sgranati, quelli dalle atmosfere opprimenti. Così come sapevo che questa sua opera prima altro non sarebbe stata che un sontuoso omaggio a quei cult.
A leggere la trama ci ero rimasto pure maluccio, nel vedere che avrei dovuto sorbirmi ancora, per l’ennesima volta, l’avventura di questi quattro sbarbatelli adolescenti e ingrifati, alle prese con questo... uuuuuh, che paura... Dottor Satana...
Temevo che La Casa dei 1000 corpi fosse un’accozzaglia di luoghi comuni, bambocci fighettini, belle pupe, culi e tette quanto basta, musica roboante e bella tamarra, e ovviamente lui, il protagonista assoluto: il signor sangue.
E in più, come se non bastasse, Rob Zombie come musicista (sia con i White Zombie che come solista) proprio non mi piace.
Invece, sono proprio contento di essermi dovuto ricredere su questa pellicola perché, prima di tutto, si tratta di un buon film, che non vuole essere chissà cosa, e non ambisce a niente, ma che ha una sua dignità bella forte. La sceneggiatura è solida ed efficace, e non quelle due misere paginette che avevo paura di incontrare: ci sono degli ottimi dialoghi, che non scadono mai e poi mai nell’immondezaio più puerile dei filmacci post Scream, così come i personaggi (tanti, veramente tanti, non me lo sarei mai immaginato) sono ben delineati, magari un po’ scemotti, ma sufficientemente ingenui per meritarsi la morte quelli che crepano, e tremendamente cattivi quelli che... beh, danno la morte a tutti gli altri.
Ma è meglio se andiamo con ordine...
Il primo impatto è veramente folgorante, con un simpaticissimo Sid Haig alle prese con la sua controparte clownesca e folle (Captain Spaulding), che si vede costretto a far finire nel peggiore dei modi un tentativo di rapina al suo originale negozio, da parte di un paio di imbecilli e tontoloni rapinatori. Già si può vedere come Rob Zombie con la macchina da presa ci sappia fare, alternando passaggi convulsi e veloci, ad una più claustrofoba ed inquietante camera a mano.
Il regista, a questo punto, sfodera un bell’asso nella manica, guidandoci con mano sicura nel tunnel degli orrori di Captain Spaulding, mentre i meravigliati visitatori guardano con occhi luccicanti. Il modo in cui racconta dei maniaci omicidi è molto originale e suggestivo, con riprese in bianco e nero, sfuocate, montate in maniera impazzita e ossessiva. Senza ovviamente contare il commento in sottofondo del pagliaccio pazzo, strafottente e teatrale.
Si può quindi dire che, già a questo punto, il film si differenzia parecchio dai suoi simili, proponendo un inizio piacevole e interessante, che va un po’ fuori dai soliti schemi.
L’atmosfera fin qui creata rischia poi di venir danneggiata dall’arrivo dell’avvenente autostoppista (che, tra le altre cose, somiglia a una delle tante galline pesudo cantanti pop che infestano la nostra già misera vita con le loro sgraziate canzonette), Baby, che aspetta un passaggio sotto un diluvio universale. Sembra quasi che sia arrivato il momento di chiudere con le novità e dare il via libera alla classiche boiate e al massacro incondizionato. E invece no. Rob Zombie stupisce ancora quando ci presenta l’eccentrica famigliola della ragazza, composta da una madre ninfomane (ma non più di tanto della figlia), un padre folgorato e paranoico, un fratello maniaco omicida (che in cameretta sta seviziando qualche bella ragazza, così, giusto per non annoiarsi), uno che somiglia ad un orso e infine uno deforme, che fa il verso, neanche troppo velatamente, a Leatherface (interpretato, quasi con tenerezza, dal recentemente scomparso Matthew McGrory).
Risulta banale dire che è qui che prende vita il film vero e proprio, con la pazza famiglia che non rinuncia a tanti complimenti per complicare il più possibile la vita dei poveri quattro disgraziati. Che la festa di sangue abbia inizio... Già, perché non sono certo i ragazzetti eccessivamente curiosi ad essere i protagonisti del film. Oh, no, che credevate? La solita sarabanda di peripezie prima della vittoria contro il male? No, niente di tutto questo, perché monsieur Zombie non la vede proprio così. Quei bambocci altro non saranno che un trampolino di lancio per la follia della famiglia di pazzi. Già, proprio così. Ma guardate che non vi ho rovinato il finale, state tranquilli.
La casa dei 1000 corpi, come potete tranquillamente immaginare, è violento, eccessivo, scioccante. Non è facile guardare senza disgusto la tranquillità con cui Otis si prende cura delle sue bambole (chiamiamole così, va’), o la naturalezza con cui sua sorella psicopatica intrattiene i suoi ospiti. Dopo i primi venti minuti, il film diventa un coktail micidiale di efferatezze, splatter a profusione, crudeltà senza limiti e scene intolleranti, di un dolore acuto, lancinante... Cavolo, scene che fanno letteralmente male! L’atmosfera è morbosa, quasi difficile da reggere, con quelle scelte cromatiche che rimandano volutamente sulla fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 (“Non aprite quella porta” in primis, dal quale è anche ripreso il tema della famiglia non molto ospitale). L’aiuta in questo il montaggio, iperfrentico, che non lascia respiro in questo vortice di follia e violenza. In parte, il cinismo e lo humor nero abbondanti più che mai, danno la possibilità di prendere un po’ di respiro, anche se non si ha a che fare con particolari scene che si possano definire divertenti. Si potrebbe solamente dire che, nel globale, è la famiglia di pazzi ad essere divertente, nella sua smisurata cattiveria, nella sua sfrenata ricerca della sofferenza altrui. Ma ancora non basterebbe.
Straordinaria l’ipnotica parte finale, davvero sorprendente, con una serie di orrori difficilmente immaginabili, che ha l’unico difetto di essere solamente troppo breve per così tanti colpi di scena.
Le scelte registiche di Zombie danno l’impressione che lui non sia a suo agio soltanto sul palco e dietro il microfono, ma denotano intelligenza, ricercatezza e un po’ di visionarietà, lasciatemelo dire. Questo perché la narrazione non è lineare, ma destrutturata e complessa, continuamente inframmentizzata da brevi parti stralunate e surreali, che in quanto ad angoscia non lasciano certo dubbi. Ma anche quando il tutto si semplifica e mostra solamente solo quello che c’è da vedere, Zombie se la cava alla grande. L’esempio lampante (e probabilmente la scena più bella ed artistica della pellicola) è l’omicidio di un poliziotto (e mi fermo qui per non spifferare niente di troppo): la capacità con cui il regista rallenta l’azione - praticamente immobilizzandola, l’allunga a dismisura, prende per il collo il respiro dello spettatore fino allo spasimo, mentre il tempo sembra non esistere più - sarebbe da premiare.
Beh, il premio migliore è stato il successo di pubblico (e un po’ meno di critica), anche se gran parte di questo ha visto il film solamente come un concentrato di violenza gratuita e insopportabile, humor nero e citazioni (perché comunque, questo è La casa dei 1000 corpi), lasciando invece a casa quel paio di occhiali con cui avrebbero potuto cogliere tali finezze.
Le musiche, curate in parte dallo stesso Rob Zombie, sono buone, con un riuscito mix di rock e industrial, minimali e dilatate, con un che di perverso e di disturbante, e ben seguono la narrazione.
Infine, bravi gli attori, che giocano bene la loro parte; ma la loro prova si può apprezzare in pieno solamente in lingua originale. Tra gli altri, figurano Bill Moseley (Non aprite quella porta 2 - giusto per non smentire la vera identità di questo film) e Karen Black, stella dell’horror di qualche anno fa. Peccato solo che lo spazio lasciato all’ottimo Sid Haig non sia poi così tanto. Il suo sorriso inquietante è da antologia.
In definitiva, un piccolo gioiello, una vera sorpresa che - paradossalmente -, per quanto essa stessa non sia altro che un omaggio e una ciclopica citazione, porta una ventata d’aria fresca e di originalità ad un certo modo di intendere l’horror.
Voto: 9
(Simone Corà)