Regia: Lucio Fulci
Cast: Katherine MacColl, David Warbeck, Sarah Keller, Antoine Saint John, Veronica Lazar, Michele Mirabella
Soggetto: Dardano Sacchetti
Sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Giorgio Mariuzzo, Lucio Fulci
Fotografia: Sergio Salvati
Montaggio: Vincenzo Tomassi
Scenografia: Massimo Lentini
Costumi: Massimo Lentini
Effetti speciali e trucco: Giannetto De Rossi
Musiche: Fabio Frizzi
Produzione: Italia
Durata: 1:30
Anno: 1981
Louisiana, 1927. Zweick, un pittore, viene linciato da una folla inferocita e crocifisso nei sotterranei dell’albergo “Sette porte”, con l’accusa di essere uno stregone e di aver scatenato le forze del male. Più di cinquant’anni dopo, Liza, giovane newyorkese, eredita l’hotel “Sette porte” e comincia a risistemarlo perché possa riaprire i battenti. Ma qualcuno (o qualcosa) sembra non desiderare la presenza di Liza e di chi la aiuta nel suo progetto di ristrutturazione: fin da subito, strani incidenti e atroci delitti cominciano a verificarsi, mentre la stessa Liza diviene preda di visioni terrificanti. Insieme al dottor McCabe, la giovane donna scoprirà un’agghiacciante verità: l’hotel è stato costruito su una delle sette porte del male (profetizzate nell’antichissimo libro di Eibon), che costituiscono il tramite tra il mondo dei vivi e l’inferno; chi aprirà una di esse, farà sì che entità maligne invadano il mondo. Scaraventati in un vortice di terrore, Liza e McCabe cercheranno disperatamente di sfuggire all’oscura minaccia che incombe su di loro e, forse, sul mondo intero. Ci riusciranno?
"… E tu vivrai nel terrore! L’aldilà" è certamente uno dei film più visionari, spaventosi e disturbanti del grande regista romano Lucio Fulci, che, negli anni ’80, dà il via alla sua produzione horror e, soprattutto, confeziona film come "Paura nella città dei morti viventi" e "Quella villa accanto al cimitero", che, insieme a "L’aldilà", costituiscono la trilogia horror-splatter più importante e conosciuta del cosiddetto poète du macabre.
Sin dall’inizio, il film catapulta lo spettatore in una storia in cui l’inquietudine, l’angoscia, la paura, l’orrore, detengono il monopolio della narrazione: nessuna parentesi ironica, divertente o comica, ne stempera gli effetti nefasti, potenziati dall’assenza, tra l’altro, di scene d’amore o di sesso e di digressioni d’altro tipo: insomma, la paura e l’orrore attraversano lo svolgimento della storia senza soluzione di continuità, e lo spettatore impressionabile non può far altro, per tutta la durata della pellicola, che invocarne la fine.
Inquietanti sono innanzitutto le atmosfere e gli ambienti in cui si muovono i personaggi principali, surreali, onirici, lugubri. Geniale è il prologo, in cui il viraggio seppia colora le truci sequenze del supplizio di Zweick di una tonalità angosciante, cupa. Il resto del film, tuttavia, non è da meno: nelle sequenze in esterno giorno non si vede un raggio di sole, il cielo è sempre grigio, la luce è debole, smorta; in quelle girate negli interni, prevalgono gli ambienti tenebrosi (ne sono un esempio le sequenze girate nei sotterranei dell’hotel) o in penombra, i luoghi desolati o in cui forte è la presenza della morte (ad esempio, le riprese nell’ospedale), le abitazioni vuote e polverose (come quella di Emily). Insomma, nulla, in questo film, infonde sensazioni positive: tutto è pensato per tuffare lo spettatore nel panico.
Fondamentale, nella pellicola, è l’elemento gore, che raggiunge picchi orrorifici e rivoltanti, e in cui la fantasia macabra di Fulci si scatena. Le sequenze splatter sono tante, e in molte il regista esaspera la descrizione di dettagli raccapriccianti ed efferati: un esempio su tutti è quello della terribile morte di Martin, l’architetto incaricato da Liza di redigere il progetto di ristrutturazione dell’albergo, straziato da fameliche e repellenti tarantole. E’ in quest’ambito che si può muovere qualche critica alla pellicola: proprio nella scena della morte di Martin, ad esempio, si può notare che alcuni dei ragni impiegati nelle riprese sono finti. Ma ciò non scalfisce assolutamente il sinistro fascino del film, soprattutto se si pensa che all’epoca gli effetti speciali erano gustosamente artigianali (e il film horror, essendo ancora lontani gli effetti digitali, era per quei pochi che sapevano farlo..) e che le pochissime pecche sono compensate da scene (la quasi totalità) efficaci e ben girate. La componente splatter è posta, con maestria, al culmine di sequenze inquietanti e paurose, coll’obiettivo di infliggere il colpo di grazia allo spettatore, già spaventato dai momenti precedenti l’orrore. Dunque, il film di Fulci non conosce sollievo o catarsi: è una pellicola in cui speranza e serenità non trovano alcun posto.
Importante, inoltre, è la mitologia ancestrale inventata da Fulci e dagli sceneggiatori, che ha un ruolo centrale nella trama, e che è costituita dal libro di Eibon e dalle sette porte del male. Una mitologia che affonda le sue radici in un passato remoto (il libro di Eibon esiste, secondo quanto vi è scritto, da più di quattromila anni), e che perciò è carica di suggestioni ataviche, primordiali, e rimanda a paure senza tempo; ma, soprattutto, una mitologia infernale, diabolica, portatrice di flagelli soprannaturali e terrificanti, strettamente connessa ad antiche credenze popolari sull’aldilà (i morti hanno un ruolo di primo piano, nel film). Dunque, una pellicola che fa della paura dell’inferno, del male, uno dei suoi pilastri portanti.
Infine, degno di nota è lo stile narrativo, che rivela il gusto di Fulci per l’indefinito: esso, infatti, fa sì che sia lo spettatore a interpretare e collegare tra loro alcune sequenze, a dar loro significato e a capire quello che succede in esse (ciò avviene, ad esempio, nella scena finale, di certo la più destabilizzante della pellicola). Ciò conferisce alla narrazione un carattere impersonale (non vi sono, in altre parole, chiarificazioni eccessive, che tradirebbero la volontà del regista di spiegare a chi guarda tutto ciò che accade) oltreché una maggior resa in termini di realismo: la realtà, sembra voler dire Fulci, è fatta anche (e soprattutto) di ignoto, un ignoto che nessuno (né i personaggi, né tantomeno lo spettatore) è in grado di decifrare.
Ma bando alle ciance: se avete intenzione di calarvi in una dimensione fatta tutta di tenebre, di angoscia e di terrore, guardate "... E tu vivrai nel terrore! L’aldilà"; vi capiterà molto raramente di trovare altri film in grado di raccontare con tale abilità gli incubi più terrificanti che albergano nell’animo umano.
Voto: 8
(Salvatore Napoli)
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