O.D.I.A.

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2013 - edizione 12

Sangue porpora
cade su grigio asfalto
vita distrutta.

La morte sopravviene quando il cervello, non più irrorato dal sangue, cessa di funzionare. Il ragazzo sentì le unghie affilate penetrare attraverso la pelle, appena sotto lo sterno. Avrebbe voluto tentare di fermare quelle mani che stavano lacerando le sue carni, ma le braccia, spezzate dalla creatura di fronte a lui, giacevano inerti. Sperò di svenire nel momento in cui si sentì toccare il cuore dall’interno. Solo quando lo vide, pulsante, davanti agli occhi, il suo sguardo si annebbiò e la morte, pietosa, lo accolse.
Molli tenebre
senza gli occhi giovani
mi circondano.

L’uomo s’inginocchiò a fatica, un sapore dolciastro gli invadeva la bocca. Il dolore alla testa e al viso era insopportabile. Non sapeva chi o che cosa lo avesse colpito alla nuca tanto forte. Doveva essere rimasto svenuto parecchio, la notte lo aveva avvolto nel buio più assoluto. Si portò le mani al viso. Le dita penetrarono, senza trovare ostacoli, nelle orbite completamente vuote.

Mani rapaci
scavano dentro il corpo,
tragica fine.

Distesa bocconi sul pavimento sentiva il peso di quell’essere seduto sulla sua schiena. E soprattutto ne sentiva il puzzo. Di morte. Le unghie laccate si consumavano sfregando inutilmente sulle ruvide piastrelle. Mentre pezzi della sua stessa carne abbandonavano il suo corpo, strappati da quelle mani gelide, pregò perché la vita la abbandonasse rapidamente.
Giustizia, cerco.
E mio riposo eterno
infine sarà.

Appoggio il rene insanguinato vicino a quel cuore e quegli occhi. I miei. Osservo la mia fredda e angusta casa. Marco 1996-2012. Il marmo striato, tra poco, mi ospiterà, finalmente sereno. Quando avrò recuperato anche il fegato, il mio corpo sarà di nuovo intatto. I miei organi non dovevano essere donati a nessuno. E per questo la pagherete anche voi, genitori miei.

Lodovico Ferrari