Abominazione Atlantica

di John Brunner - pagine 130 - Urania

Racconto scritto nel 1960 dall’inglese John Brunner, autore che potrà risultare sconosciuto a molti lettori, ma che in realtà è uno dei più famosi scrittori sci-fi del Regno Unito. Nell’occasione propone una storia che sta a metà strada tra il fantastico e la sci-fi e che, se messa in altre mani, avrebbe di sicuro preso le pieghe (forse più efficaci) dell’horror.
La prima parte è ambientata negli abissi dell’oceano Atlantico, dove degli scienziati rinvengono i resti di una cittadina sommersa dalle acque. Inizialmente, gli oceanografi credono di aver scoperto le rovine di Atlantide, ma ben presto la loro attenzione cadrà su qualcosa di più sensazionale.

Da una grotta ricoperta di fango, infatti, emerge una creatura gigantesca - di natura extraterrestre - che ha dominato la Terra all’alba dei tempi. L’essere, dalle forme appena tratteggiate, ha il potere di controllare le menti degli uomini e di renderli suoi schiavi, imponendo carichi di lavoro massacranti e inducendoli al suicidio pur di garantire il suo piacere.
La creatura, svegliatasi da un lunghissimo letargo, intende riconquistare il controllo del pianeta. Cattura così il transatlantico “Queen Alexandra” e, sottomessi i marinai, parte alla conquista di Jacksonville (Florida).
Qui, però, dovrà vedersela con i militari e dopo una serie di spargimenti di sangue verrà abbattuto con il ricorso a missili e armi nucleari.
Al di là della trama, che potrebbe far pensare a un classico “monster movie”, “Abominazione Atlantica” gode di un soggetto dotato di spunti interessanti e per niente banali. L’autore propone una sorta di rapporto tra le “divinità” (leggi religioni) e “l’umanità” con le prime che intenderebbero sopraffare le menti degli uomini per soggiogarli ai propri scopi, inducendoli a comportamenti meccanici piuttosto che ragionati. Ciò, ovviamente, porta alla auto-distruzione e in alcuni casi alla pazzia. A parte questa analisi che si coglie prima facie, Brunner suggerisce una visione più profonda e criptica. La storia potrebbe, difatti, esser analizzata sotto un altro punto di vista. Il gigante protagonista si comporta allo stesso modo in cui l’uomo si relaziona con le altre specie del pianeta. Egli giudica come inferiori e quindi suscettibili di subire i suoi capricci tutte le altre creature del globo (un po’ come fa l’uomo con gli animali e la natura). Le conseguenze di tale atteggiamento, però, sono ben evidenziate dall’autore e portano il soggetto dominante a subire l’ira della natura (non è, difatti, un caso che gli Antichi si siano estinti per l’effetto di cataclismi naturali).
Oltre a questi aspetti, senz’altro preponderanti, si affianca al tema basilare quello delle armi nucleari (del resto siamo nel periodo della guerra fredda) e dei pericoli che potrebbero scaturire se queste finissero nelle mani sbagliate (si teme, infatti, che il mostro le possa utilizzare contro l’umanità).
Da un punto di vista contenutistico, quindi, “Abominazione Atlantica” è un’opera che va al di là del semplice intrattenimento, tuttavia non esente da vizi.
Il romanzo non è ben equilibrato e oscilla tra il grottesco e il “serioso” con diverse cadute di ritmo (noiosissime le ricostruzioni degli scienziati e lo studio delle varie strategie da utilizzare contro il nemico) che minano il coinvolgimento. A mio avviso, inoltre, visto il soggetto (si parla di “Antichi”, abissi marini) sarebbe stato opportuno sconfinare nell’horror (appena accennato nell’apocalittica conclusione) magari con l’adozione di uno stile Lovecraftiano. Inoltre, si registrano vari momenti che hanno il fastidioso sapore del “cinematografico” (vedi la parte con il presidente degli Stati Uniti che si agita e snocciola ordini).
Passando alle considerazioni che prescindo dal testo, si segnalano almeno tre edizioni - tutte a cura dell’Arnoldo Mondadori Editore - due uscite per la collana Urania, la prima nel 1971 (n. 564), l’altra nel 1983 (n. 947 etichettato come “Capolavoro”) e una terza uscita nel 1990 per i “Classici Urania”.
Voto: 5,5
[Matteo Mancini]

Incipit
La loro ingordigia non aveva conosciuto limiti, fino a quel momento. Si erano rimpinzati fino all’inverosimile, sperperando quello che credevano inesauribile; si erano comportati come bambini in una casa piena di dolci, e avevano distrutto quello che non potevano consumare. Fino a quel momento.
Ora pareva che il pianeta stesso fosse nauseato dalla loro arroganza.
Quante volte le deboli creature del mondo straniero erano fuggite vigliaccamente davanti alla furia di Ruagh e degli altri della sua specie?
Non serviva a niente ricordare quelle occasioni. Ora Ruagh, il padrone indiscusso di migliaia di esseri, era lui stesso in fuga davanti alla terribile e insostenibile furia della natura cieca.