di Massimo Zerbini - pagine 151 - euro 10,00 - Prospettiva Editrice
Due vampiri si nascondono nella tranquilla città di Parma. Una donna misteriosa e
assetata di vendetta e un eccentrico scozzese alla ricerca di un antico manoscritto. La
faida che da lungo tempo li ha contrapposti sembra essersi conclusa, ma uno strano
omicidio sconvolge la vita della città.
Max, un giovane studente universitario troppo curioso, si trova suo malgrado coinvolto
nellindagine. Dovrà seguire un oscuro percorso iniziatico per cercare di salvare se
stesso e le persone a cui è legato.
Vampiri contemporanei, per Massimo Zerbini, succhiasangue perfettamente adattatisi
allera moderna, che si mescolano agli uomini senza destare troppi sospetti, ma che
continuano a combattere tra loro per un conflitto personale iniziato nel secolo scorso.
Nessun gran schieramento di forze infernali, quindi, né squadroni di creature mostruose
che si danno battaglia, o benché meno damerini adolescenziali che si sbaciucchiano invece
di mordersi, ma semplicemente un lui contro una lei, punta delliceberg di
unintricata vicenda ricca di intrighi, raggiri e rivelazioni.
Basta poco per avere unidea positiva di "Manoscritto trovato a Santiago",
e il fatto che non ci sia traccia delle ultime mode imperanti in fatto di creature della
notte (nessuna tamarraggine, nessuna discendenza nobiliare, nessuna parentesi emo) è un
incoraggiante punto a favore di Massimo Zerbini.
Piace, e molto, la struttura che sostiene il romanzo, varia, colorita, che fa affidamento
su un numeroso cast di personaggi e ne sottolinea i vari punti di vista, in modo da
incuriosire per i continui stop & go e per i passaggi da una sequenza allaltra.
Zerbini ha le idee chiare, e semina con astuzia indizi, eventi e protagonisti (basti
pensare al ruolo di Ramona la fotografa) in 150 pagine piuttosto dense di avvenimenti.
Continui accenni thrilleristici (la trama vista dagli occhi di Guzzanti) e tentazioni
action/horror (lagenzia investigativa, la parte finale) sono gli elementi che più
si mettono in risalto, accompagnati da certi richiami atmosferici legati allhorror
di una volta (il manoscritto di Dajo), momenti che, per idee e registro stilistico,
rappresentano forse la parte migliore del lavoro.
Se lintreccio ha molti spunti positivi, che affossano certi nei un po ingenui
(la stessa agenzia investigativa, la scelta di alcuni nomi e certe caratterizzazioni),
stile e proprietà lessicale non viaggiano sempre sui buoni livelli presentati nel
capitolo iniziale.
Qua e là, infatti, la forma inceppa in momenti incerti, insicuri, che mostrano ancora uno
strato di ruggine che solo esperienza e pazienza sapranno grattare via. Parlo dei continui
cambi di punti di vista, a volte non gestiti nel migliore dei modi - imprecisione che
comporta un certo smarrimento e una saltuaria confusione. O luso della
punteggiatura, sgraziato e non sempre coerente.
Si tratta più che altro di pecche comprensibili per un autore alle prime armi,
imperfezioni che un editing più corposo avrebbe polverizzato, spezzando la narrazione con
pause utili a raccogliere le idee e comprendere la situazione, e con una semina di virgole
più rigida e controllata.
Si percepisce, infatti, come le parole di Zerbini cerchino di scostarsi da certi soliti
cliché, nel tentativo di dar vita a una vicenda tuttaltro che banale, e anche se -
vuoi per qualche sgrammaticatura, vuoi per certi momenti un po pasticciati - il
bersaglio non è sempre a fuoco, non si viene rallentati da quello che, a conti fatti, è
uno stile ancora acerbo, bisognoso di attenzioni e consigli, e anzi, si apprezza la buona
volontà dellautore e la sua voglia di narrare, indiscutibile.
Lultimo appunto riguarda unimmagine di copertina che doveva assolutamente
essere più gradevole e meno anonima. Locchio vuole sempre la sua parte, e un
elemento come la copertina, che deve attrarre, invitare, calamitare, non devessere
mai sottovalutato.
A ogni modo, attendiamo Massimo Zerbini, e con curiosità, alla prossima prova.
Voto: 6
[Simone Corà]
Incipit
Dallattico dellhotel si poteva ammirare tutta la città, con le luci
opache, numerose e pulsanti, che emergevano dal velo sottile della nebbia. Duncan
MacGregor stava appoggiato al davanzale con la schiena ricurva, attento al traffico
dautomobili e pedoni che attraversavano la via sottostante.
Aveva eseguito le istruzioni come gli erano state date per telefono. Alla reception si era
presentato dando un falso nome inglese, perché il suo forte accento straniero lo rendeva
credibile. Aveva chiesto del signor Herman Jones e linserviente gli aveva accordato
il permesso di salire fino allattico per raggiungere lappartamento
centoventuno, dodicesimo piano corridoio uno. Aveva trovato la porta aperta e la luce
accesa, ma il signor Jones non era presente, lappartamento era deserto.