Io, l'immortale

di Angela Catalini - euro 12,80 - 82 pagine - Ennepilibri

Un immortale, uno dei pochi ultimi sopravissuti a uno sconvolgimento climatico che sta pian piano distruggendo il mondo, racconta la sua storia fatta di tristezza e solitudine. Dall’antica Roma fino all’incontro con Gesù Cristo, dal Rinascimento italiano passando alle discoteche della riviera romagnola, fino ai difficili momenti che sta vivendo ora che teme di essere rimasto l’unica persona viva in tutto il mondo. Ogni ricordo per lui è solo una ferita che si riapre. E che difficilmente si chiude. E anche l’incontro che può cambiare per sempre il suo lungo futuro, rischia per questo di essere troppo distante e poco sentito.

Il breve romanzo d’esordio di Angela Catalini non può che rimandare alla saga dei vampiri di Anne Rice. L’eroe immortale, condannato a vivere e provare sofferenza per l’eternità, infatti, riconduce subito ai vari Lestat, Armand e Marius nati dalla penna della scrittrice americana. Anche l’uso della prima persona, con la quale il protagonista ricorda la propria vita, è un altro punto di contatto con la regina dei vampiri. Ma non si tratta assolutamente di un difetto, eh, lo metto subito in chiaro.
Il romanzo è strutturato su due linee temporali parallele, che si alternano l’un l’altra a vicenda: il presente e i flashback riguardanti il passato dell’immortale.
Purtroppo, non si comincia nel migliore dei modi. Se si segue con curiosità ciò che sta succedendo a Uberth l’immortale e al vecchio che vive con lui, si fa fatica a far luce sugli eventi del suo lungo passato, che vengono raccontati troppo in fretta e in maniera troppo complessa, lasciando troppe questioni sottointese. Anche la scelta di descrivere il presente, quello che sta succedendo ora, solo come collegamento fra un ricordo e l’altro, complica la situazione, impedendo di avere un’idea chiara di, beh, perché Uberth stia parlando e di quello che gli succede attorno.
Il brutto, poi, è che un avvio così brusco e veloce non lascia nemmeno un attimo per immedesimarsi con i due personaggi, relegando di fatto il vecchio a una semplice comparsata, quasi inutile, e rendendo difficile capire effettivamente cosa sia successo nel passato di Uberth. Perché i continui flashback, come detto, sono da una parte troppo superficiali (una carrellata di personaggi comprimari incolori e che non lasciano alcun segno) e dall’altra troppo arzigolati (quello che accade a Roma e con gli Etruschi, per esempio, è parecchio confuso - è questo è un bel neo, perché è posizionato proprio all’inizio).
Occhio, però, perché comunque, una volta ingranati, si legge con piacere e con interesse. Dopo una ventina di pagine, infatti, Angela riesce a trovare il giusto equilibrio, si sente, e avanza perciò più sicura e decisa, con uno stile di scrittura semplice ma preciso e appagante.
La svolta positiva (parecchio positiva) avviene con l’entrata in scena di Esra (di cui non dico altro per non rovinare la sorpresa). Qui la lettura si fa molto più accattivante, visto che viene anche lasciato molto più spazio al presente che non ai ricordi dell’immortale. E a essere catturati da quello che sta succedendo non ci si mette molto.
In questa seconda metà del romanzo, poi, c’è una descrizione dei sentimenti del protagonista che è veramente magistrale: in pochissime parole Angela riesce a ricamare e rendere sempre originale l’immagine di un uomo distrutto, deluso, sfinito, che vorrebbe arrendersi ma che tuttavia trova un appiglio per continuare a sperare. Ed è questo il maggior pregio del romanzo, almeno secondo il sottoscritto. Il complesso carattere che contraddistingue Uberth, infatti, viene finalmente fuori in queste pagine, e quello che vive è così struggente e doloroso che il lettore non può fare a meno di immedesimarsi in lui.
Ahimè, la parola fine arriva però sin troppo presto, a questo punto, ora che finalmente il romanzo era ben partito dopo un inizio zoppicante.
Un consiglio, in chiusura, è quello di lavorare di più sui dialoghi (troppo superficiali, e con un lessico che sa veramente di altri tempi) dando loro più spessore e mordente, perché così come sono non rendono bene l’idea della caratterizzazione dei personaggi.
In definitiva, un discreto romanzo, dalle enormi potenzialità purtroppo non sfruttate appieno. Allungandolo di almeno una venitna di cartelle, e dando così più spessore ai ricordi di Uberth nella prima parte (e relativi personaggi secondari, in primis il vecchio), la storia poteva trasformarsi in qualcosa di ben più che “discreto”.
Ci rileggiamo alla prossima, allora, sicuro che nel frattempo il tuo arco si sarà riempito di frecce che non mancheranno di centrare il bersaglio.
Voto: 6,5
[Simone Corà]

Incipit
Sono giorni che osservo il mare e lui osserva me. Lo vedo ansimare oltre le rocce come un animale in agguato. Feroce. Mi chiedo quanto tempo ci vorrà ancora prima che si decida.
Il vecchio si è svegliato, mi guarda con gli occhi umidi dal pagliericcio.
- Cosa dice il mare?
- Nulla, vecchio, nulla. Riposa, c’è ancora tempo.
- Ti ha parlato?
Crede che il mare sia un’entità dotata di coscienza e di volontà, piuttosto che un cieco elemento.
- Forse lo farà - rispondo cercando di rassicurarlo.
Si è alzato sui gomiti troppo magri, la sua voce ora è un sussurro.
- Io sono vecchio e la morte ormai è già sulle mie tracce. Ma tu… tu…
- Quanti anni credi che io abbia?
- Non lo so.
- Neppure io, credimi. Neppure io.